Wednesday, January 17, 2007

Bagni di violenza (terza parte)


Nonostante il parere, contrario alla sua pratica, al quale hanno spesso condotto anni di studi di filosofi, psicologi, traumatologi, terapisti e studiosi d’ogni tipo, la nostra società ci spinge spesso al trovare nella rimozione di ciò che riflette i nostri lati più spiacevoli una valida soluzione ai nostri problemi. Pur professando la verità come principio supremo e fondamentale del nostro vivere morale, siamo pronti a nascondere, allontanare o disconoscere tutto ciò che lede il senso di perfezione o comunque di positività che attribuiamo a noi stessi. Siamo sempre più portati a omettere quel che ci rende in modo evidente non-immacolati o anche non moralmente autosufficienti.
L’ipocrita pratica della sostituzione dei sanitari è un lucido specchio di questo fenomeno.

Anch’io una volta sono rimasto coinvolto in questo perverso rituale.
Fu
quando, in un giovanile lavoro estivo come idraulico, fui portato al primo piano di un vecchio albergo da una stella e mezza. Mi fu messo in una mano un grosso martello, nell’altra uno scalpello. Fui condotto all’interno del bagno della prima camera del corridoio, che in tutto ne aveva una
decina. Mi indicarono il water, il bidet e quant’altro, e mi dissero: “ecco: distruggi tutto!”.
Il martello che avevo in mano si sollevò, e nella sommatoria di forze di tricipite e gravità calò su di una rotondità di ceramica color cappuccino levandone da lì una grossa scheggia, che volò sul pavimento frantumandosi in ulteriori pezzi. Al posto di questa, una concavità ruvida e sgraziata, evidente frutto di un atto di violenza. E le fibre interne di quel bidet che ne aveva viste tante pulsavano ancora di bianca vitalità, di quel vigore anziano che grida silenzioso “vi seppellirò tutti” e fa lievemente rabbrividire chi lo sente. Ma io quella volta avevo un dovere e uno sguardo giovane che mi impediva di vedere i significati profondi delle cose, e continuavo a menare mazzate contro quell’inerme esserino pingue che molte persone aveva aiutato a liberarsi delle minuzie di sgradevole interiorità che il più possente wc aveva già accolto nei loro lati più tracotanti e grezzi.
E pensare a quante, quante ne aveva viste colui che spaccavo con i
miei fendenti: donne innamorate e donne che condividevano con lui il loro commercio, uomini smaniosi di rendersi gradevoli e uomini invitati a fargli visita prima anche solo di provare ad avvicinarsi. Quante cose avrebbe raccontato se avesse saputo parlare… ma la mia furia guerriera, la mia forza guidata dalla cecità dell’inesperienza rendevano quel profondo conoscitore dell’umana intimità un rottame senza alcun utilizzo. Lui rispondeva alla violenza spandendo in giro taglientissime schegge d’odio che però, immobili, non potevano far male a nessuno, tantomeno ai miei alluci foderati nella dura scorza delle scarpe antinfortunistica.

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